Il Vangelo che ascoltiamo oggi è composto da due parti distinte: i primi tre versetti sono presi dal solenne
Prologo di S. Giovanni (Gv 1,6-8), mentre poi il Vangelo continua con la parte narrativa, che viene subito
dopo il Prologo (Gv 1,19-18).
Nella prima parte è l’evangelista che presenta la figura di Giovanni Battista; nella seconda è lui stesso a
presentarsi, incalzato dalle domande degli emissari mandati da Gerusalemme (Gv 1,19) per sapere chi sia
quest’uomo che sta risvegliando l’attesa d’Israele e che ha riaperto la strada del deserto.
L’evangelista dice del Battista quattro cose essenziali: il nome: “Giovanni”; la provenienza: “mandato da
Dio”; la missione: “essere testimone della luce”; e il fine della missione: “perché tutti credessero per mezzo
di lui”.
Una sottolineatura è data alla missione: il termine testimone/testimonianza in due versetti (Gv 1,7-8) è
ripetuto tre volte.
Il Battista è il primo testimone di Gesù, in un Vangelo in cui il concetto di testimonianza è fondamentale.
Basta vedere quante volte questo termine ricorre (più di quaranta), per rendersi conto di quanto la figura del
“testimone” sia importante.
Potremmo pensare al Vangelo di Giovanni come ad un lungo cammino nel corso del quale si fa conoscere
meglio, passo dopo passo, l’identità di Gesù, e durante il quale vengono ascoltati, appunto, dei “testimoni”
(Cana, Samaritana, il cieco nato e tanti altri).
Quelli fondamentali sono due: il primo è proprio il Battista, mentre il secondo è il discepolo amato.
Ed entrambi fanno la stessa cosa: testimoniano la relazione di Gesù con il Padre, il Suo venire da Dio per
tornare a Lui.
E lo fanno per un unico motivo: come per il Battista, anche per il discepolo amato, è scritto che la sua
testimonianza ha un unico fine, la fede dei discepoli. Al capitolo 19, dopo la morte di Gesù, quando i soldati
lo colpiscono al fianco e ne esce acqua e sangue, l’evangelista può dire: “Chi ha visto ne dà testimonianza e
la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate” (Gv 19,35). Il fine della
testimonianza è la fede, perché chiunque, credendo, abbia vita e salvezza.
Anche nella prassi giuridica, il testimone è colui che ha visto in prima persona. Non semplicemente uno che
ha sentito dire, ma uno che era presente, che conosce le cose per averle vissute.
Infatti, poco più avanti rispetto ai versetti letti oggi, il Battista dirà di aver visto con i propri occhi “Ho
contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui… E io ho visto e ho
testimoniato che questi è il Figlio di Dio” (Gv 1,32-34).
Il testimone, dunque, non è soltanto chi ha visto, ma anche chi per primo ha creduto: Giovanni Battista ha
ascoltato la Parola del Padre che lo ha inviato, ha riconosciuto che quell’evento si realizzava nella persona di
Gesù e ha creduto in Lui.
Il brano continua poi con una sorta di inchiesta sull’identità del Battista, su chi lui sia e se sia lui il messia.
Egli risponde dando due indicazioni.
C’è qualcuno da conoscere, è vero, ma non è il Battista: lui serve solo ad indicare chi è Colui cha va
conosciuto: “in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete” (Gv 1,26). Giovanni ha chiaro che solo non
attirando l’attenzione su di sé, gli altri potranno rivolgerla su Colui che veramente bisogna attendere; e solo
scomparendo compirà la propria missione e testimonierà la presenza del Messia tra gli uomini. Più avanti lo
dirà esplicitamente: “Lui deve crescere; io, invece, diminuire” (Gv 3,30).
La seconda indicazione riguarda la citazione di Isaia, presa all’inizio del capitolo 40 del profeta, che apre il
grande Libro della Consolazione ed annuncia la fine della schiavitù e l’inizio di un tempo nuovo.
Ecco, dice Giovanni Battista, io sono solo il testimone che questo tempo ha inizio, e che l’unica cosa da fare
è conoscere Colui che è già in mezzo a voi, per cui non c’è più tempo da perdere, è finita l’attesa.
Il Vangelo di oggi, presentando il Battista, descrive la missione della Chiesa. È in essa che oggi risuona la
voce che grida nel deserto, è in essa che si fa presente la parola di consolazione. La prima missione della
Chiesa è quella di indicare all’uomo di oggi la via della salvezza, la strada per incontrare Cristo e nulla più.
Tutto il resto è secondario.
Oggi ci viene chiesto con forza di tornare all’essenziale, a quel “principio” di cui Marco parlava domenica
scorsa (Mc1,1): fissare l’attenzione sulla presenza del Signore operante nella Chiesa e nel mondo e lasciar
perdere tutto ciò che non orienta a Lui.
È un appello forte che sembra conoscere la nostra inclinazione a fermarci sui particolari e a perdere di vista
l’essenziale.
L’Avvento, allora, è il tempo in cui la Chiesa ci invita a riscoprire l’essenziale della vita e della fede.